Insegnanti italiani, una massa di fannulloni?


Il 12 ottobre abbiamo assistito ad un fenomeno nuovo e inaspettato: studenti e insegnanti uniti a protestare in piazza.
E’ accaduto che una manifestazione già organizzata dalla CGIL per altri motivi si è trasformata in una vivace protesta contro alcune previsioni della legge di stabilità del governo.
In particolare i docenti italiani protestano contro la prospettiva di veder aumentare il proprio orario di lavoro settimanale dalle attuali 18 ore a 24 ore, e senza alcun aumento di stipendio.
Quale attività svolgerebbero in quelle 6 ore supplementari non è ancora chiaro, ma una cosa è certa: aumentando l’orario di servizio dei docenti diminuirebbe il numero di precari da assumere, e si otterrebbe un risparmio notevole, che è poi l’obiettivo che il governo si pone.
Il mondo della scuola è in rivolta; in molte scuole i docenti hanno già deciso di attuare qualcosa di simile a degli scioperi bianchi, attenendosi ad esempio rigidamente alle norme, correggendo i compiti durante le ore di lezione, dimettendosi da tutte quelle commissioni, spesso non retribuite, che permettono in concreto alla scuola di funzionare e di avere rapporti con il mondo esterno.
In alcuni istituti si è addirittura ventilata l’idea di occupare la scuola, provocando così una sorprendente inversione di ruoli: non sono più gli studenti che occupano, ma i professori.
Altre forme di protesta più simpatiche o creative sono state organizzate, ad esempio il 26 ottobre numerosi docenti si sono dati appuntamento in piazza del Duomo a Milano per correggere i compiti in pubblico; lo scopo è quello di dimostrare che i docenti lavorano anche quando non sono in classe a spiegare.
In questa loro protesta gli insegnanti possono forse contare su una certa solidarietà degli studenti, ma certamente non hanno come alleata l’opinione pubblica, e su questo fatto probabilmente conta anche il governo.
L’immagine del docente italiano, dalla scuola primaria alle superiori, non è infatti molto popolare tra la gente; sono considerati, soprattutto al Nord, un po’ come dei falliti: gente che non ha avuto il coraggio o la capacità di sfruttare meglio la sua laurea, ad esempio intraprendendo una professione, e si è rifugiata nel mondo sicuro e poco impegnativo della scuola. Le professoresse poi sono spesso immaginate come mogli di professionisti che lavorano per hobby e rubano il posto a qualcuno che ne avrebbe bisogno sul serio.
Non parliamo poi delle lunghissime ferie, tre mesi!, che i docenti godrebbero mentre gli altri sono costretti a lavorare sempre di più.
Ma qual è la verità? E’ vero che i docenti lavorano poco e dovrebbero perciò essere disposti a veder aumentare l’orario di servizio senza avere nulla in cambio?
Gli insegnanti ribattono facendo presente che le 18 ore in classe sono solo una parte del loro lavoro; a parte, e in quantità notevole, ci sono la preparazione di lezioni e verifiche, la correzione dei compiti, la partecipazione a numerose riunioni, l’aggiornamento, i rapporti con i genitori degli studenti, la partecipazione a molti organismi e commissioni.
A conti fatti, sostengono, le ore effettive di lavoro non sono 18, ma molte di più: praticamente il doppio.
E tutto questo gratis o per pochi euro, senza possibilità di lavoro straordinario, senza buoni pasto, né alcuna forma di benefit, che invece hanno molti altri lavoratori.
E le ferie? Sono effettivamente di tre mesi? Bisogna riconoscere che molte cose sono cambiate in Italia negli ultimi decenni.
La scuola ad esempio non comincia più il 1° ottobre, ma verso il 10 settembre, non ci sono più così tanti ponti e vacanze infrasettimanali. I docenti delle superiori impegnati negli esami di Stato, la vecchia Maturità, lavorano almeno fino al 10 luglio; 50 giorni di ferie, sostengono i prof., sono tanti quanti le sei settimane di un impiegato, a cui vanno sommati i sabati e la domeniche. Il conto torna.
In più, lamentano i professori di essere sempre costretti a fare le vacanze d’estate, quando viaggi e strutture ricettive costano molto, a differenza degli altri lavoratori, che andando in ferie in altri periodi, possono risparmiare.
Certo, poi ci sono le vacanze di Natale, quelle di Pasqua, altri giorni di effettiva lontananza dal posto di lavoro; e i conti ricominciano a non tornare.
Che dire? Forse che per affrontare seriamente i gravi problemi della scuola occorre meditare più a fondo e proporre soluzioni di ampio respiro, provando almeno a condividerle con chi le dovrà attuare. Da un altro punto di vista, dobbiamo tutti renderci conto che il risanamento del Paese è ancora lontano dall’essere completato, e che tutti dobbiamo ancora fare dei sacrifici.

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